Sollima racconta il Mostro di Firenze, tra Ambizione, Denuncia e Lentezza
- Giada Maria Scarfiello
- 22 ott
- Tempo di lettura: 4 min
Abbiamo avuto modo di assistere in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia alla presentazione della serie Il Mostro, ora finalmente disponibile su Netflix, e l’occasione ci ha permesso di osservarla con uno sguardo più attento rispetto al semplice lancio streaming. La proposta è ambiziosa e tocca una delle vicende più oscure della cronaca italiana — il caso del Mostro di Firenze — ma il risultato è, a nostro avviso, più stimolante che pienamente riuscito.
Contesto e aspettative
La serie è composta da quattro episodi e parte dalla lunga scia di omicidi attribuiti al Mostro di Firenze, avvenuti tra la fine degli anni Sessanta e la metà degli anni Ottanta. La scelta narrativa è quella di concentrarsi sulle fasi iniziali della vicenda, in particolare sulla cosiddetta “pista sarda”. Questo significa che chi si aspettava un racconto incentrato su figure già note come Pietro Pacciani o i “compagni di merende” rischia di rimanere un po’ spiazzato: la narrazione, infatti, non segue quella linea. In questo senso, l’aspettativa di un true crime classico viene sovvertita: Sollima e i suoi sceneggiatori preferiscono esplorare l’atmosfera, il contesto sociale e psicologico, piuttosto che la cronaca pura.

Ritmo e struttura narrativa
E qui arriva la nostra prima grande riserva: il ritmo. La serie adotta un passo lento, riflessivo — e questo può essere una qualità, ma anche un limite. Nei primi episodi la trama si muove con fatica: si esplorano i personaggi, si cambiano prospettive, si allestiscono lungamente le situazioni senza che la narrazione avanzi davvero. Ogni episodio è costruito attorno a un presunto “mostro”, un sospettato diverso, e il punto di vista cambia di continuo. Tutto ciò, da un lato, è affascinante: restituisce la complessità e il disorientamento delle indagini reali. Ma dall’altro, rende la visione più faticosa del previsto. I quattro episodi disponibili non sembrano davvero portare avanti la trama, e lo spettatore resta in sospeso, in attesa di un’accelerazione che non arriva mai.In un panorama di serie sempre più rapide e adrenaliniche, Il Mostro richiede tempo e pazienza — qualità che non tutti avranno voglia di concedere.
Ambientazione, performance e produzione
Su questo fronte, la serie si difende molto bene. Le ambientazioni sono curate, la ricostruzione storica è credibile e la regia di Sollima imprime un segno preciso, tra ombre toscane, silenzi, campi sterminati e interni sospesi nel tempo. È un racconto visivamente potente, che riflette l’Italia degli anni Settanta e Ottanta con un tono cupo ma elegante. Le performance attoriali sono, l’aspetto più riuscito: ogni interprete offre profondità e misura, anche quando il testo si concede qualche eccesso di lentezza o di enfasi. C’è, però, una certa tendenza alla romanzazione: eventi, dialoghi e relazioni sembrano talvolta pensati più per costruire dramma che per aderire alla realtà storica. Questo non è necessariamente un difetto — ma chi si aspetta una ricostruzione fedele e documentaristica potrebbe restare deluso.

Un altro elemento discutibile è l’attenzione concessa a dettagli secondari: momenti marginali o dinamiche personali che finiscono per occupare più spazio del necessario, spostando il baricentro narrativo verso il gossip o la curiosità. È il caso, per esempio, della sottotrama che esplora l’omosessualità di Stefano Mele, marito di Barbara Locci (una delle vittime del mostro), una scelta interessante, ma che lascia la sensazione di essere più decorativa che funzionale alla storia principale.
Focus e tematiche: cosa si racconta (e cosa meno)
La serie affronta moltissimi temi: la colpa, la paura, la violenza, la mascolinità tossica, la comunità, la superstizione. Ma il paradosso è che, pur raccontando il “Mostro”, raramente parla davvero del Mostro. Intendiamoci: i mostri in questa serie ci sono, ma non quello di Firenze. La sua figura rimane più simbolica che concreta. Il Mostro non cerca di spiegare, ma di evocare: ogni episodio è un frammento di un mondo in cui il male si confonde con il quotidiano, dove tutti — forse — sono un po’ colpevoli e appunto, mostruosi. Questo approccio è interessante per chi ama le epopee umane e le grandi ricostruzioni sociali, meno per chi voleva un racconto teso e lineare, come la serie americana Monsters che ha affrontato casi del calibro di Dahmer e i Fratelli Menendez. In certi momenti, la serie sembra più interessata a parlare dell’Italia del tempo che dei delitti stessi, e non sempre l’equilibrio tra realtà e invenzione funziona.
Il verdetto finale
In definitiva, Il Mostro è una serie di grande fascino visivo e recitativo, ma di ritmo complesso e contenuti dispersivi. È un racconto ambizioso, che mira a restituire la complessità del caso e del periodo storico, ma rischia di smarrirsi nella sua stessa lentezza. Non mancano i motivi di interesse: l’atmosfera è intensa, la regia solida, e le interpretazioni spesso magnetiche. Ma la visione richiede uno spettatore paziente, disposto a lasciarsi trascinare più dal tono che dall’azione.

Forse, alla fine, Il Mostro non parla davvero di un assassino, ma di un Paese intero. Guardandola, ci si accorge che il vero “mostro di Firenze” non è soltanto chi ha premuto il grilletto, ma il sistema malato che lo ha reso possibile: un’Italia soffocata dal maschilismo, dal silenzio, dalla violenza domestica e istituzionale, da un’idea distorta di potere e di giustizia. Un Paese dove le donne venivano giudicate più che protette, dove la colpa si confondeva con la vergogna, e dove la verità era spesso sacrificata alla convenienza. In questo senso la serie trova la sua forza più autentica: non nel raccontare il crimine, ma nel mostrarci quanto il contesto fosse già, di per sé, mostruoso.
Il titolo del resto non fa riferimento alla vicenda di cronaca, ma ad un mostro che forse si identifica nell'Italia che fa da sfondo alla narrazione. Se lo spettatore accetta di leggerla così, la serie diventa meno un giallo e più uno specchio: uno che, pur riflettendo un’Italia lontana, parla ancora terribilmente di noi.
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