One Battle After Another: Paul Thomas Anderson e l’epica intima dei padri e delle figlie
- Giada Maria Scarfiello
- 16 ott
- Tempo di lettura: 4 min
Con One Battle After Another, Paul Thomas Anderson torna dietro la macchina da presa con un film che è, al tempo stesso, un ritorno alle origini e una dichiarazione di poetica. Dopo gli universi frammentati di The Master, l’allucinazione paranoica di Inherent Vice e la dolce ferocia di Licorice Pizza, Anderson firma un’opera che traveste l’intimità da epopea. Apparentemente un racconto di guerra, in realtà è un film sul legame più fragile e complesso di tutti: quello tra un genitore e un figlio, tra un padre e una figlia che non si comprendono più e che si ritroveranno con una promessa di libertà reciproca.
“Da qui sarà una battaglia dopo l’altra”: una frase diventa destino
C’è un momento, preciso e magnetico, in cui tutto il film si definisce. Bob Ferguson (Leonardo DiCaprio), il protagonista, guarda la figlia e pronuncia una frase che sembra scolpita nella pietra:
“Da qui sarà una battaglia dopo l’altra.”
È un istante di rivelazione. Non solo per il personaggio, ma per l’intero film. Anderson utilizza quella battuta come una chiave di lettura, una sorta di dichiarazione d’intenti che svela la struttura e il tono dell’opera. Da quel momento, lo spettatore capisce che il titolo non è metaforico: One Battle After Another sarà davvero una battaglia continua, ma non nel senso militare o eroico. Le guerre che Anderson racconta sono quelle dell’animo, quelle che si combattono in silenzio — contro i propri rimpianti, contro la paura di perdere chi si ama, contro il tempo che separa i genitori dai figli.

Ogni scena successiva, ogni gesto, ogni sguardo diventa un piccolo scontro, una micro-battaglia per la sopravvivenza emotiva. È un film che dichiara fin dall’inizio che non ci sarà tregua — né per i personaggi, né per lo spettatore.
Non è un film di guerra: è un film sulla genitorialità
Molti si aspettavano un ritorno al cinema politico, un affresco su rivoluzionari sconfitti e ideali bruciati. Anderson invece spiazza tutti. One Battle After Another non parla di rivoluzioni sociali o guerre dimenticate: parla di paternità e maternità, di figli che scappano e di genitori che inseguono. È un film sulla cura, sulla perdita e sull’impossibilità di proteggere davvero chi si ama.
Willa (interpretata da Chase Infiniti, rivelazione del film) non è solo la figlia ribelle: è lo specchio in cui il padre rivede il fallimento delle proprie battaglie. Anderson la filma con dolcezza ma anche con distanza, come se lo sguardo stesso del regista fosse diviso tra il desiderio di comprenderla e la consapevolezza che non potrà mai farlo fino in fondo. Il film diventa così una lunga lettera d’amore irrisolta tra un padre e una figlia che imparano a riconoscersi solo nel momento in cui rischiano di perdersi per sempre. Willa in un momento cruciale del film, nemmeno riconosce il padre.
La famiglia come campo di battaglia
Anderson ribalta i codici del cinema d’azione e costruisce un film in cui la tensione non nasce dalle armi, ma dagli affetti. La casa, la foresta, la strada polverosa diventano veri e propri campi di guerra: non tra eserciti, ma tra generazioni. Ogni dialogo tra Bob e Willa è un duello — non ci sono proiettili, ma parole taglienti, silenzi lunghi, respiri trattenuti.

Eppure, nonostante la durezza, c’è sempre una pulsazione di tenerezza sotterranea. Anderson non giudica mai i suoi personaggi: li osserva, li accompagna, ne registra la stanchezza. La sua macchina da presa non cerca la vittoria, ma la resa. Perché, come sembra dirci il film, l’unico modo per sopravvivere alla battaglia della genitorialità è arrendersi all’amore — accettare che non si potrà mai controllare tutto, che i figli se ne andranno, e che il compito dei genitori è imparare a lasciarli andare.
Un padre, due modelli, infinite perdite
Il ritorno del personaggio interpretato da Sean Penn, ex compagno di militanza e ora nemico, introduce un tema caro ad Anderson: il doppio. Penn è ciò che Bob avrebbe potuto diventare — un padre mancato, un uomo che ha scelto la guerra invece della cura. Nel loro confronto finale, non c’è solo una resa dei conti, ma un doloroso specchio: due uomini che capiscono di aver combattuto le battaglie sbagliate.
In questo senso, One Battle After Another parla anche di eredità affettiva. I figli, ci suggerisce Anderson, non ereditano soltanto i tratti o i ricordi, ma anche le ferite non guarite dei genitori. Ogni battaglia lasciata in sospeso da un padre rischia di diventare la prima battaglia di un figlio.

Lo sguardo e il suono: Anderson, Elswit e Greenwood in stato di grazia
Visivamente, il film è un capolavoro di equilibrio. Robert Elswit, direttore della fotografia di Anderson, alterna paesaggi vasti e silenzi sospesi a primi piani intimi, quasi tremanti. Il risultato è un mondo visivo che rispecchia la psicologia dei personaggi: la natura come specchio dell’interiorità. Le montagne, le tempeste di sabbia, le notti illuminate da fuochi lontani — tutto vibra in funzione emotiva. La colonna sonora di Jonny Greenwood è il cuore pulsante del film: archi tesi, pianoforte spoglio, frammenti di chitarra che emergono e scompaiono. È una musica che non accompagna, ma interroga. Ogni nota sembra chiedere: “Fino a che punto sei disposto a combattere per chi ami?”. E la risposta sembrerebbe essere "per sempre":
L’ultima rivoluzione è la cura
Alla fine, ciò che resta non sono le fughe, né le armi, ma un gesto. La mano di Bob che cerca quella della figlia. Anderson filma quel momento come un evento cosmico: la luce cambia, il tempo si sospende. Non è redenzione, ma riconoscimento. È come se il regista ci dicesse che, dopo tante battaglie, la vera rivoluzione è la cura. Non cambiare il mondo, ma cambiare il modo in cui si ama.
Una battaglia dopo l'altra è infinita ma piena d’amore
One Battle After Another è un film che comincia come un western e finisce come una confessione. Non è un film di guerra. Non è un film di rivoluzione. È un film su ciò che resta dopo: sulle cicatrici, sui legami che resistono, sull’amore che continua a combattere anche quando non c’è più nulla da vincere. Paul Thomas Anderson ci consegna un’opera che parla a tutti, perché tutti, in fondo, conosciamo quella sensazione: quella di trovarsi nel mezzo di una battaglia che non si può evitare, che si chiama vita, o genitorialità, o amore.
E allora sì, da qui in poi sarà davvero una battaglia dopo l’altra — ma è l’unica battaglia che valga la pena di combattere.
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