Il cinema di Paolo Strippoli si distingue per un uso del soprannaturale come metafora, mai fine a sé stesso: nelle sue storie il perturbante è la proiezione di ferite interiori o di tensioni sociali, che attraverso l’horror trovano forma visiva. Gli spazi che racconta – villaggi isolati, città svuotate, boschi opprimenti – non sono semplici scenografie, ma stati d’animo solidificati, riflessi emotivi dei personaggi.
Nel mondo di Lanthimos, il corpo non è mai neutro. Non è mai semplicemente "dato". È un campo di battaglia, una superficie di iscrizione, un luogo dove si combatte tra natura e norma, tra desiderio e disciplina. La sua rappresentazione del corpo non è estetizzante, né naturalistica: è chirurgica. L'immagine è fredda, disinfettata, geometrica. La carne umana, invece, pulsa sotto la pelle dei gesti imposti, degli sguardi spenti, della lingua deformata.