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Nino, La Vita che Continua Mentre Cadiamo

Lo abbiamo visto al “Piccolo Grande Cinema 18” in giuria — e credeteci, Nino ci ha toccato nel profondo.


Un’apertura che disarma: l’inganno della normalità

Nino si apre in modo quasi innocuo, come se stesse per raccontarci la vita quotidiana di un ragazzo qualsiasi. La storia si concentra su tre giorni cruciali: il protagonista, Nino (interpretato da Théodore Pellerin), scopre di avere un tumore alla gola alla vigilia del suo 29° compleanno, e la sua vita si trasforma in un limbo emotivo. Pauline Loquès costruisce volutamente questa introduzione come un piccolo inganno narrativo: Nino vive immerso nella routine, tra uscite, volti familiari, piccole abitudini che sembrano uguali a quelle di tutti noi. È proprio tramite questa normalità che il film si infiltra nella nostra percezione, preparandoci senza avvertirci a un impatto emotivo che arriverà senza rumore.


Nino, La Vita che Continua Mentre Cadiamo

Quando Nino scopre ciò che gli sta accadendo, la macchina da presa non indugia, non cerca la lacrima facile, non marca il momento come un evento straordinario. Lo lascia deflagrare dentro di lui, invisibile all’esterno ma devastante per il suo equilibrio interiore. Il film ci costringe così a restargli accanto mentre la sua vita prosegue come se non fosse cambiato nulla, eppure tutto è cambiato. Questa scelta narrativa è sottile ma potentissima: ci permette di essere testimoni intimi della sua frattura interiore, senza che nulla venga esplicitato.


Regia e linguaggio visivo: la potenza della sottrazione

La regia di Loquès è una dichiarazione d’intenti estetica e poetica. L’autrice conosce il valore del silenzio, della sottrazione, dei dettagli che parlano più delle parole. La macchina da presa resta vicina al protagonista, ma senza mai invaderlo: gli cammina accanto con rispetto, come farebbe qualcuno che sa che una persona soffre ma non vuole costringerla a parlare.


Ogni inquadratura è misurata, calibrata con grande sensibilità. Non ci sono movimenti bruschi né virtuosismi visivi: la regista predilige una semplicità che diventa forma di eleganza. L’emozione nasce dalla verità del gesto, dallo sguardo trattenuto, dal modo in cui la luce accarezza il volto di Nino nei momenti di maggiore vulnerabilità. La sottrazione visiva si trasforma in un linguaggio emotivo: il film non mostra la malattia, ma mostra quello che la malattia provoca dentro. E lo fa in modo così umano che diventa impossibile non empatizzare.


Théodore Pellerin: un corpo, un volto, un silenzio che racconta tutto

L’interpretazione di Pellerin è un viaggio a sé. Non serve che il suo personaggio pianga, urli o crolli: ogni suo gesto è calibrato con un controllo che non è freddezza, ma disperazione trattenuta.


Nino, La Vita che Continua Mentre Cadiamo

Nino è un ragazzo che non vuole far pesare agli altri la propria paura. È un giovane che sorride mentre dentro implode, che ascolta gli altri anche quando non ha più voce per ascoltare se stesso. Questa discrezione emotiva è ciò che rende la sua figura così potente: è un personaggio che vive nel non detto. La sua fragilità è fatta di micro-espressioni, di respiri interrotti, di parole mancate. Il suo corpo racconta ciò che la sua voce non riesce a confessare. Pellerin costruisce un Nino estremamente umano, estremamente vicino a ognuno di noi. La sua recitazione è un equilibrio perfetto tra dolore e contenimento, tra presenza e fuga. Non c’è un solo momento in cui risulti artificiale: è vero, vivo, ferito. È impossibile guardarlo senza riconoscersi almeno un po’.


Il mondo intorno: incontri che scavano dentro

Il film è attraversato da una serie di incontri che segnano i tre giorni di vita di Nino. Sono figure che entrano nella sua quotidianità con naturalezza: amici che non si accorgono del suo turbamento, familiari che percepiscono qualcosa ma non riescono a coglierne la natura, persone dal passato che riportano a galla ricordi sospesi.


Questi personaggi non sono pedine narrative messe lì per far avanzare la trama; sono presenze significative, specchi emotivi. Ognuno di loro illumina una parte diversa del protagonista: un lato affettuoso, uno fragile, uno combattuto, uno ancora bambino. Nessuno salva Nino, nessuno lo condanna, nessuno lo forza a parlare. È proprio questa libertà che rende gli incontri profondi: il film ci mostra la verità delle relazioni umane, fatte di intuizioni, fraintendimenti, tentativi sinceri ma imperfetti di capire l’altro.


Fotografia e atmosfera: una Parigi che accoglie e pesa

La Parigi di Nino non è quella dei film romantici né quella dei film cupi: è una città vera, vissuta, che esiste mentre Nino attraversa il suo dolore in silenzio. Le luci sono morbide, quasi timide. I colori sono smorzati, come se tutto fosse filtrato attraverso uno stato d’animo confuso.


Nino, La Vita che Continua Mentre Cadiamo

Gli esterni sono realistici, non costruiti per impressionare. Gli interni sono pieni di oggetti che parlano di vite reali, di abitudini, di passaggi quotidiani che continuano anche quando il mondo interiore del protagonista si è fermato. La fotografia trova un equilibrio raro: accompagna senza pesare, racconta senza rubare spazio. È uno dei motivi per cui il film risulta così intimo. La città diventa un personaggio muto, un luogo che continua a pulsare mentre Nino si sente improvvisamente fuori ritmo rispetto al resto del mondo.


La colonna sonora: musica che non invade, ma racconta

La musica nel film è una presenza discreta, come un soffio, come un pensiero che attraversa la mente del protagonista. Non commenta mai le emozioni, non le sottolinea. È scelta con cura per non sovrastare la fragilità della storia. I brani emergono nei momenti in cui Nino sembra perdere l’equilibrio, oppure in quei piccoli spazi in cui prova a ritrovare un appiglio. È una colonna sonora che non spiega, ma accompagna. È la musica perfetta per un film che vive di nuance, di sfumature interiori.


Il nucleo tematico: Nino siamo noi

Quello che rende Nino davvero potente è la sua umanità. Non è solo un film su una diagnosi medica: è un’opera sull’accettazione, sulla solitudine, sul silenzio, sulla difficoltà di riconoscere il dolore. Il cuore del film arriva quando capiamo che Nino non è solo un personaggio: è un riflesso. Un riflesso di noi, delle nostre paure, delle nostre strategie di sopravvivenza emotiva. Quando scopre qualcosa di terribile dentro di sé, la sua reazione non è quella cinematografica che ci aspetteremmo. Non si dispera, non crolla, non affronta di petto la realtà.


Nino, La Vita che Continua Mentre Cadiamo

Fa quello che tantissimi di noi fanno ogni giorno: finge che vada tutto bene. Continua a muoversi nel mondo come se nulla fosse. Parla, scherza, esce, incontra amici, affronta momenti importanti con un sorriso che è quasi una maschera. E in quella finzione, in quel sorriso tirato, c’è tutta la verità del film: la paura è più facile da affrontare quando la nascondiamo anche a noi stessi. Nino diventa così un simbolo potentissimo della nostra epoca, del nostro modo di vivere il dolore: con discrezione, con pudore, con un senso di isolamento che ci portiamo dietro senza saperlo comunicare. Ecco perché diciamo che Nino siamo noi: perché tutti abbiamo almeno una volta sorridendo attraversato qualcosa che ci stava devastando.


Una conclusione che non chiude, ma apre

Il film non dà risposte definitive, non offre un finale rassicurante né un epilogo drammatico. Finisce con la stessa delicatezza con cui è iniziato: lasciando spazio allo spettatore, chiedendogli in silenzio di fare i conti con la propria vulnerabilità. Non interessa sapere cosa accadrà a Nino dopo. Ciò che conta è ciò che abbiamo visto nei suoi occhi, nel suo silenzio, nei suoi tentativi maldestri e coraggiosi di continuare a vivere.


La forza di Nino sta proprio in questo: non chiude una storia, ma apre una riflessione. Ci invita a chiederci quante volte stiamo recitando la parte di quelli che stanno bene. Quante volte abbiamo paura e non lo diciamo. Quante volte la fragilità ci sembra una colpa invece che una condizione naturale. Nino ci ricorda che la fragilità non è debolezza, ma una parte fondamentale di ciò che siamo.

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