Bugonia: Anatomia di Una Paranoia Contemporanea
- Giada Maria Scarfiello
- 1 dic
- Tempo di lettura: 3 min
“Bugonia” è il nuovo film di Yorgos Lanthimos, remake in lingua inglese del cult sudcoreano Save the Green Planet!. La trama segue Teddy, un apicoltore complottista convinto che una potente CEO, Michelle Fuller, non sia umana ma un’aliena infiltrata sulla Terra. Insieme al cugino Don, la rapisce e la sottopone a un interrogatorio che scivola progressivamente nel delirio, tra torture, sospetti e rivelazioni instabili.

Il titolo fa riferimento all’antico rituale greco della “bugonia”, in cui si credeva che le api nascessero spontaneamente dal corpo di un bue morto: un’immagine che diventa metafora di rigenerazione, metamorfosi e distorsione della verità. “Bugonia” non è un semplice thriller o un horror fantascientifico: è un’opera che usa il complottismo come linguaggio per parlare del nostro tempo, della fragilità umana e del bisogno disperato di certezze.
Il complottismo come specchio del nostro tempo
Uno dei meriti del film è mostrare come le teorie del complotto non nascano nel vuoto, ma siano spesso la conseguenza diretta di fragilità personali, traumi, vuoti emotivi e un’ansia diffusa che caratterizza il mondo contemporaneo. Teddy non è solo un fanatico: è un uomo ferito, disorientato, che trasforma la propria sofferenza in una visione distorta ma coerente del mondo.
Il film adotta il linguaggio del complottismo non per celebrarlo o sostenerlo, ma per esporne i meccanismi interni, le seduzioni e le derive. La paranoia viene trattata come una struttura narrativa, come un virus emotivo, come la forma estrema del bisogno di trovare un ordine nel caos.

Delirio, ossessione e verità alternative
Lanthimos gioca costantemente con l’ambiguità tra reale e percepito. La CEO rapita è davvero ciò che sostengono Teddy e Don? O è solo la vittima innocente di un delirio? Lo spettatore viene trascinato in una zona grigia, costretto a condividere i dubbi dei rapitori. Il film ci ricorda quanto sia fragile il concetto stesso di verità, e quanto sia facile manipolarla, distorcerla, reinventarla quando la paura diventa più forte della logica.
Critica alla società contemporanea
La scelta di rendere l’obiettivo del complotto una CEO di una grande azienda farmaceutica è una provocazione lucida: Bugonia riflette sull’inquietudine verso il potere economico, sulle disuguaglianze, sulla perdita di fiducia nelle istituzioni e nell’informazione. È un racconto sulla febbre sociale del sospetto permanente, sulla ricerca compulsiva di colpevoli, sulla costruzione di narrazioni semplici in un mondo troppo complesso.

Regia, estetica, fotografia e colonna sonora
La regia di Lanthimos è chirurgica: costruisce un ambiente claustrofobico, fatto di interni opprimenti, spazi chiusi, seminterrati che sembrano camere mentali più che luoghi fisici. Il ritmo oscilla tra il grottesco e il drammatico, tra il realismo crudo e l’assurdo visionario. Lo spettatore vive in un costante senso di instabilità, come se ogni scena fosse sul punto di explodere.
La fotografia in pellicola 35 mm e il formato VistaVision danno al film un aspetto tangibile e materico, quasi classico, che contrasta con gli elementi surreali della storia. La nitidezza delle immagini rende ancora più perturbante ciò che vi accade dentro: la follia è ripresa come fosse reale, quotidiana, inevitabile.
La musica è inquietante, stratificata, fatta di suoni distorti, rumori ambientali, pulsazioni minacciose. La colonna sonora amplifica il senso di disorientamento del protagonista e dello spettatore, rendendo ogni ambiente un luogo emotivo prima ancora che fisico. È un paesaggio sonoro che parla di instabilità, ossessione, pressione psicologica.

Perché “Bugonia” è importante oggi
Bugonia è importante perché racconta il nostro tempo senza filtri: l’epoca del sospetto, della disinformazione virale, delle verità parallele, della paura che si traveste da lucidità. È un film che esplora le zone d’ombra della nostra percezione, il modo in cui costruiamo narrazioni per dare un senso a ciò che non comprendiamo. Mostra come il complottismo non sia solo follia individuale, ma sintomo di una crisi collettiva: una società stanca, disorientata, che cerca risposte semplici in un mondo complesso. La potenza di Lanthimos sta nel mettere tutto questo in scena senza paternalismo, lasciando lo spettatore immerso in un dubbio che non si risolve mai completamente.
“Bugonia” è un film disturbante, provocatorio, necessario. È un viaggio nelle crepe della percezione umana, un ritratto della vulnerabilità psicologica che alimenta paure e ossessioni. Utilizza il linguaggio del complotto come specchio del presente, come strumento per far emergere la fragilità dietro le certezze più estreme.
Non offre risposte, non concede vie d’uscita facili: ci lascia sospesi, incerti, inquieti. E proprio per questo resta impresso. Lanthimos firma un’opera che parla di paranoia, di identità, di verità, ma soprattutto dell’umanissimo bisogno di credere in qualcosa, anche quando quel qualcosa ci trascina nel baratro.
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