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The Smashing Machine: Corpo d’Acciaio, Anima di Vetro

Con The Smashing Machine - visto in anteprima alla Biennale del Cinema di Venezia 2025 e attualmente al cinema - , il regista porta sullo schermo un’opera sorprendentemente umana e potente, un biopic che trascende i confini del genere sportivo per addentrarsi nei meandri più intimi dell’identità, della paura e della dipendenza emotiva. È un film che non si limita a raccontare un campione: lo smonta, lo osserva da vicino e lo restituisce al pubblico con una sincerità a tratti spiazzante.


The Smashing Machine: Corpo d’Acciaio, Anima di Vetro

L’aspetto visivo: un ring che diventa metafora dell’esistenza

La regia usa lo spazio del ring come un’estensione psicologica del protagonista: luci crude, telecamere ravvicinate e una fotografia granulosa che cattura ogni goccia di sudore, ogni sbavatura, ogni esitazione. Le scene di combattimento non sono mai mero spettacolo: hanno un peso emotivo, un ritmo narrativo calibrato per condurre lo spettatore nel cuore pulsante delle sue contraddizioni interiori.


Una performance straordinaria: l’attore protagonista come non lo abbiamo mai visto

La vera rivelazione del film è la trasformazione totale dell’attore protagonista Dwayne Johnson, detto The Rock, che offre forse la prova più sorprendente della sua carriera. Abbandonando qualsiasi patina divistica, entra nella pelle – e soprattutto nelle ferite – di Mark Kerr con un’intensità che definire magnetica sarebbe riduttivo. Non è solo una questione di fisicità, pur impressionante: è la capacità di restituire con precisione chirurgica i micro-movimenti emotivi di un uomo che tenta disperatamente di tenersi insieme mentre tutto intorno crolla. Lo vediamo oscillare tra esplosioni di forza brutale e momenti di vulnerabilità quasi infantile, un dualismo che l’attore incarna con una naturalezza dolorosa. È un’interpretazione che non si limita a sorprendere: ridefinisce il suo stesso repertorio.


The Smashing Machine: Corpo d’Acciaio, Anima di Vetro

Il paradosso del titano: la fragilità di un corpo invincibile

Uno degli elementi più affascinanti del film è il continuo contrasto tra l’imponenza fisica del protagonista e la sua fragilità emotiva. L’uomo che sul ring appare come una macchina indistruttibile, un colosso capace di domare ogni avversario, fuori dall’arena diventa improvvisamente piccolo, prigioniero di insicurezze e paure che lo consumano dall’interno.


La macchina si inceppa, il titano cede, e ciò che resta è un essere umano ferito che cerca disperatamente amore, approvazione e un senso di stabilità. Il film ci ricorda che la grandezza atletica può coesistere con un'anima fragile, e che dietro ai muscoli si nasconde un cuore che teme di non essere mai abbastanza. È qui che The Smashing Machine raggiunge la sua massima potenza: nella sua capacità di mostrare l’antitesi tra il corpo che protegge e l’anima che implora salvezza.


The Smashing Machine: Corpo d’Acciaio, Anima di Vetro

La dinamica tossica che consuma: la moglie e la violenza invisibile

Accanto al protagonista troviamo la figura complessa della moglie, interpretata con incredibile finezza da Emily Blunt. La sua performance tratteggia un personaggio ambiguo, affascinante e disturbante, che esercita sul marito una forma di violenza sottile, psicologica, strisciante. Non parliamo di aggressioni fisiche, ma di parole, pressioni, manipolazioni emotive che lentamente erodono la stabilità già precaria dell’uomo. Blunt costruisce un personaggio che non è una semplice antagonista, ma un nodo emotivo irrisolto, parte delle dinamiche tossiche che soffocano il protagonista. Il risultato è un rapporto complesso, doloroso e incredibilmente credibile, capace di offrire allo spettatore uno dei ritratti più realistici di dipendenza affettiva degli ultimi anni.


The Smashing Machine: Corpo d’Acciaio, Anima di Vetro

Una vita vera: dipendenza da antidolorifici e la discesa reale di Mark Kerr

Un elemento che rende The Smashing Machine particolarmente potente è il fatto che si basa su una storia realmente accaduta. Mark Kerr non è un personaggio inventato: è un ex-lottatore con un passato da wrestler, un atleta che ha raggiunto l’apice delle MMA ma che, lontano dai riflettori, ha vissuto una delle battaglie più difficili della sua vita. Per anni Kerr ha fatto ricorso agli antidolorifici per sopportare i traumi costanti degli allenamenti e dei combattimenti, credendo che fossero una soluzione rapida per tenersi in piedi. Quello che iniziò come un aiuto temporaneo divenne presto una spirale incontrollabile: una dipendenza profonda da oppioidi che lo portò a rischiare l’overdose, a passare per l’ospedale e a scontrarsi con un senso di colpa e di solitudine devastanti.


The Smashing Machine: Corpo d’Acciaio, Anima di Vetro

Il film non nasconde nulla di questo percorso. Mostra un uomo che scivola nel buio, che usa narcotici per anestetizzare non solo il dolore fisico, ma anche quello interno, invisibile. È una discesa che trascende lo sport: diventa la storia di una lotta per la sopravvivenza emotiva e psicologica, che rivela quanto il successo possa arrivare a pesare e quanto il dolore, se ignorato, possa divorare tutto.


Un finale che non cerca applausi: cerca verità

The Smashing Machine evita volutamente trionfalismi facili. Non racconta la storia di un eroe che vince tutto, ma quella di un uomo che deve imparare a guardarsi negli occhi senza mentire. È una chiusura che risuona a lungo dopo i titoli di coda perché non concede risposte semplici: offre, invece, una verità nuda e spesso scomoda, come la vita stessa. Con interpretazioni incredibili, una regia coraggiosa e una scrittura capace di svelare l’essenza più fragile dell’essere umano, The Smashing Machine si impone come uno dei ritratti più intensi e complessi mai dedicati a una figura sportiva. Non è un semplice film sulle MMA, ma un viaggio emotivo nel cuore di un uomo spezzato che continua ostinatamente a rialzarsi. Un’opera che rimarrà. E che merita di essere vista, discussa, ricordata.

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