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Il nuovo Eden di Guillermo Del Toro: Frankenstein, Adamo ed Eva

Jacob Elordi, un mostro che commuove

Tra le tante sorprese del nuovo Frankenstein di Guillermo del Toro, la più clamorosa è l’interpretazione di Jacob Elordi, che riesce a trasformare la Creatura in un essere al tempo stesso fragile e magnetico. Non è più il mostro goffo e urlante dell’immaginario popolare: è un’anima ferita, senza nome, condannata a un’esistenza eterna di solitudine e dolore. Elordi gli restituisce dignità, purezza, e una dolcezza che spiazza, tanto che il suo personaggio diventa impossibile da non amare. È proprio questa intensità a renderlo la vera anima del film, accanto a un Oscar Isaac tormentato e implacabile nei panni di Victor Frankenstein.


Il nuovo Eden di Guillermo Del Toro: Frankenstein, Adamo ed Eva

La fotografia e la scenografia come carne viva

La potenza visiva del film è abbagliante: la fotografia di Dan Laustsen alterna blu siderali a improvvisi bagliori rossi, creando un contrasto cromatico che sembra parlare direttamente all’inconscio. La scenografia, monumentale e barocca, comunica tanto quanto i personaggi: laboratori ingombri di strumenti meccanici, castelli che sembrano respirare, stanze che custodiscono memorie di dolore. Del Toro costruisce un universo fisico, palpabile, in cui lo spettatore si perde e si riconosce, come dentro un incubo che ha la consistenza della realtà.


Il vero mostro siamo noi

Il cuore del racconto, però, sta nella domanda antica che Del Toro aggiorna con forza: chi è davvero il mostro? Non la Creatura, che non ha colpa di essere nata e che neppure ha un nome, bensì gli uomini che lo rifiutano. E più di tutti, i “mostri in giacca e cravatta”, come suggerisce lo stesso regista: quelli che con freddezza calcolatrice esercitano potere, escludono, giudicano. In questo senso il film diventa un’allegoria del presente, un monito contro la disumanizzazione che spesso traveste da normalità i comportamenti più crudeli.


Il nuovo Eden di Guillermo Del Toro: Frankenstein, Adamo ed Eva

Amore e purezza

Tra i dettagli che sorprendono e commuovono c’è il rapporto con il personaggio interpretato da Mia Goth, che si innamora della Creatura proprio per la sua purezza, per quello sguardo incontaminato che il mondo, pur disprezzandolo, non è riuscito a corrompere. Lei vede in lui ciò che gli altri non vedono: un cuore che, pur condannato, conserva una luce intatta. È un amore che non nasce dall’attrazione superficiale, ma dal riconoscimento di un’anima che nonostante tutto non ha imparato a odiare. Nel loro legame impossibile, il film lascia intravedere una delle poche scintille di speranza.


Il nuovo Eden di Guillermo Del Toro: Frankenstein, Adamo ed Eva

La condanna dell’eternità

La creatura non muore, ma sente il dolore delle ferite che gli uomini continuano a infliggergli. Victor, il suo stesso creatore, e altri uomini tentano più volte di ucciderlo, eppure, anche quando capiscono che non può morire, continuano a ferirlo. E lui quel dolore lo sente, senza scampo: una condanna nell’eternità. Il film mostra così una sofferenza doppia, fisica e metafisica, che rende la sua condizione ancora più tragica.


Victor come Dio, la creatura come l’Uomo

Il tema religioso attraversa l’intero film. Victor Frankenstein è colui che osa creare la vita, ma invece di custodirla la ripudia, trasformandosi nel peggior nemico della sua stessa opera. In questo gesto si riflette un dilemma teologico: se Dio ha creato l’uomo, lo ha forse condannato a soffrire per sempre?


Il nuovo Eden di Guillermo Del Toro: Frankenstein, Adamo ed Eva

Il parallelismo emerge in maniera folgorante nel dialogo finale tra lo scienziato e la sua creatura, che somiglia a una preghiera disperata, un colloquio tra l’uomo e il suo Dio. A questo si aggiunge la richiesta struggente della creatura: avere una compagna, per non rimanere solo al mondo. Victor rifiuta dicendo “non creerò un altro mostro”, ma la creatura ribatte “saremo mostri insieme”. È una frase che risuona come una chiara allusione biblica, un’eco del mito di Adamo ed Eva, la coppia primigenia che inaugura il destino dell’umanità. Victor riflette anche sulla possibilità che i due potessero procreare, immaginando “migliaia di mostri” a popolare la terra. Ma non è forse questa un’allusione al nostro stesso mondo? Nel film, come nella realtà, siamo noi gli esseri umani a incarnare i veri mostri di cui si parla.


Un film destinato a restare

Del Toro non ha semplicemente adattato Frankenstein, lo ha reso un poema visivo e filosofico, un racconto che oscilla tra bellezza e orrore, tra amore e abbandono. È un film che lascia segni profondi, destinato a sedimentarsi come le grandi opere, e che con forza rimette al centro la domanda che Mary Shelley pose due secoli fa: cosa significa davvero essere umani?

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