Orfeo: il Viaggio Sensoriale di Villoresi
- Giada Maria Scarfiello
- 9 dic
- Tempo di lettura: 3 min
Con Orfeo - titolo che abbiamo visto in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia -, Virgilio Villoresi realizza un film che sfida ogni classificazione e si pone in una dimensione laterale, ortogonale rispetto alla produzione contemporanea. Non tenta di aggiornare il mito in modo convenzionale, né si limita a rielaborarlo con estetica “d’autore”. Orfeo è piuttosto un organismo vivente, un esperimento visivo e sensoriale che incrocia tecniche antiche, linguaggi dell’animazione, artigianato cinematografico e una visione profondamente personale del fantastico.

L’opera, ispirata a Poema a fumetti di Dino Buzzati, segue il viaggio di un uomo che attraversa la soglia tra vita e morte alla ricerca della donna amata. Ma Villoresi non racconta questo passaggio con le logiche narrative tradizionali: costruisce un mondo stratificato, dove ogni elemento – scenografico, sonoro, fotografico, performativo – contribuisce a far emergere una percezione mitica, intuitiva, a tratti rituale del racconto.
Un’avanguardia che nasce dall’artigianato
Ciò che rende Orfeo un film unico è la sua natura multimediale. Villoresi intreccia animazione in stop-motion, riprese in pellicola 16 mm, proiezioni in macchina, pitture su vetro, miniature, marionette, scenografie fisiche, inserti grafici e dispositivi ottici costruiti appositamente. Questa sovrapposizione di tecniche, lontana da qualsiasi feticismo nostalgico, genera un’estetica avanguardistica proprio perché recupera procedure pre-digitali e le mette in frizione con l’immaginario contemporaneo.

L’artigianato diventa così la forma più radicale di innovazione: un modo per restituire al cinema la matericità che la post-produzione digitale ha reso sempre più evanescente. Le immagini non sono “pulite” o levigate, ma vibrano, hanno una consistenza quasi tattile. Ogni frame sembra frutto di un gesto manuale; ogni transizione è una ferita luminosa che apre un passaggio verso un altrove.
Un linguaggio ortogonale alla narrazione classica
Orfeo non procede per linearità narrativa ma per collisioni, intuizioni, accostamenti laterali. Il film si muove su un vettore che non segue la direzione consueta della narrazione — causa, effetto, progressione — ma si sviluppa ortogonalmente: attraversa stati d’animo, simboli, visioni, metamorfosi. Questa scelta rende l’opera più simile a un poema visivo che a un racconto tradizionale. Gli spazi sono trasfigurati in luoghi mentali, la logica cede il passo alla percezione, e il viaggio nell’aldilà diventa un’immersione sensoriale nel lutto, nel desiderio, nella fragile possibilità di un ritorno.

La colonna sonora come struttura portante
Elemento fondamentale, spesso determinante, è la colonna sonora. La musica non accompagna le immagini: le sostiene, le modella, le trascina. Le composizioni di Angelo Trabace creano un ponte tra la dimensione terrena e quella ultraterrena, scandendo il passaggio tra gli stati emotivi del protagonista con una forza drammaturgica rara nel cinema italiano contemporaneo.
La musica definisce il ritmo interno del film, suggerisce i movimenti dell’inconscio, apre brecce emotive lì dove l’immagine resta sospesa o enigmatica. In Orfeo il suono diventa vero e proprio linguaggio narrativo — un controcanto al silenzio e alla perdita.
Una nuova forma del mito
La grande intuizione di Villoresi sta nel non cercare una traduzione moderna del mito, ma una sua ricreazione. Orfeo non è l’eroe tragico della tradizione classica: è un artista smarrito, un uomo che tenta disperatamente di restituire senso alla dissolvenza dell’amore. Euridice non è più solo la donna perduta: è figura, eco, visione, assenza che prende corpo attraverso più linguaggi visivi.

Il mito non viene attualizzato: viene attraversato. E nel farlo, il film rivela la sua contemporaneità senza mai volerla dichiarare. Il dolore per ciò che si perde, la vertigine del ricordo, la tensione tra desiderio e distruzione: tutto assume una forma nuova, immersa in un immaginario gotico, surrealista, lirico.
Orfeo: un'esperienza più che una visione
Orfeo è un film che non si guarda: si attraversa. È un’esperienza che ribalta le aspettative, che rifiuta la semplificazione, che offre un cinema fatto di materia, invenzione e coraggio. In un panorama spesso omologato, Villoresi costruisce un’opera avanguardistica proprio attraverso l’artigianato, la manualità, la stratificazione di tecniche e media.
Il risultato è un viaggio poetico, ossessivo e sensoriale che non solo reinventa il mito, ma rivendica la potenza immaginifica del cinema come forma d’arte totale.
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