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Almodóvar e L'utero della Memoria in Madres Paralelas

In "Madres Paralelas" (2021), Pedro Almodóvar firma una delle sue opere più stratificate, mature e politicamente dense. Non è solo un film sulla maternità, come si potrebbe pensare ad una prima visione superficiale: è un’opera multistrato che parla di identità, memoria collettiva, corpi narrativi, e del diritto di ogni essere umano a sapere da dove viene. Proviamo a leggerlo in modo totale, attraverso lo sguardo estetico, psicologico, simbolico e politico.


Trama e struttura narrativa

La narrazione si muove su due binari paralleli che si rincorrono e si contaminano: la vicenda privata di Janis e Ana, e quella collettiva della memoria storica della Spagna. Janis (Penélope Cruz, intensa e misurata) incontra Ana (Milena Smit, fragile e potente) nella stanza di un ospedale. Entrambe partoriscono nello stesso giorno. Ma ciò che sembrava una coincidenza esistenziale si trasforma in un dramma dell’identità quando Janis scopre che la bambina che sta crescendo non è sua figlia biologica. Questo sconvolgimento familiare si riflette nella sua ossessione per la verità storica: riesumare la fossa comune dove giace suo nonno, ucciso dai franchisti. La dialettica tra verità privata e storica è l’asse portante dell’opera.


Ma la struttura narrativa di "Madres paralelas" non è lineare: è una tessitura di eventi, simboli e ritorni che si riflettono come specchi deformanti. Ogni scena domestica è speculare a un processo storico più ampio. Le due madri si trovano in un limbo tra maternità e identità, e il film si costruisce proprio su questa ambivalenza. Le scelte registiche privilegiano l'intimità dell'inquadratura ravvicinata, del dettaglio: come a dirci che la storia, la grande storia, si scrive anche nelle pieghe di un volto.


La fotografia: il colore come codice emotivo

Jose Luis Alcaine costruisce una grammatica visiva ricchissima. Ogni ambiente è una composizione cromatica studiata per evocare stati emotivi. Il rosso è ovunque: non solo come simbolo di passione, ma di sangue, di ferita, di vita e morte. Il verde, più raro, assume il ruolo di pausa, di ambiguità morale. Il blu è assente, a sottolineare la mancanza di distacco e freddezza: tutto è carne, calore, urgenza.


Almodóvar usa le inquadrature come stanze della psiche: molti interni sono costruiti con simmetrie perfette che poi vengono leggermente disturbate. C’è sempre qualcosa di fuori asse, come se anche il visivo fosse sintomo di un ordine apparente che cela un disordine profondo. Anche la luce è una protagonista narrativa: filtra da finestre mai del tutto scoperte, gioca sulle superfici degli oggetti, scolpisce i volti delle protagoniste con una dolcezza che contrasta con la durezza della realtà. La fotografia non illustra la trama, la amplifica: è l’anima silenziosa del film.


I personaggi: archetipi moderni

Janis è la madre consapevole, ma anche la figlia non riconciliata con la propria storia che però incarna la figura di donna libera e trasgressiva. Ana è la vergine spezzata, portatrice di un trauma sessuale mai elaborato. Il loro incontro è lo scontro tra due concezioni della maternità: una scelta (più o meno) consapevole e una conseguenza della violenza.


Ma Almodóvar non si ferma all’archetipo: lo smonta, lo rielabora. Janis diventa madre anche contro la biologia, Ana diventa figlia anche contro il destino. Arturo, l’antropologo, è l’uomo che scava nella terra per restituire dignità ai morti: un moderno Orfeo che tenta di riportare alla luce le ombre. La madre di Ana, attrice mancata e distante, incarna la Spagna che ha scelto la rimozione come meccanismo di difesa.


Ogni personaggio è una ferita aperta, un enigma psicologico, un frammento di un’identità collettiva che cerca ricomposizione.


Simbolismi e sottotesti: il corpo come archivio vivente

Il corpo in Almodóvar è sempre politico. Janis e Ana sono due corpi che generano, ma anche due corpi che custodiscono segreti. Il corpo materno diventa archivio di verità negate, contenitore di traumi. La maternità, per il regista, è un atto rivoluzionario: è la possibilità di riscrivere la storia.


La fotografia, professione di Janis, è un altro simbolo chiave: guardare, imprimere, documentare. Ma anche scegliere cosa mostrare e cosa no. È l’arte di fermare il tempo, di rendere eterno ciò che altrimenti scomparirebbe.


La fossa comune è l’inconscio della nazione. Scavarla è come andare in analisi: un atto doloroso ma necessario per uscire dal rimosso. La Spagna franchista ha seppellito i suoi morti senza dare loro nome, volto, pianto. Il film è una richiesta di elaborazione collettiva del lutto. Il grembo della terra diventa utero inverso: invece di generare, restituisce ciò che era stato nascosto. Ogni pala nella terra è un gesto di riconnessione, di riparazione simbolica.


Temi chiave: maternità, memoria, identità, verità

La maternità è esplorata in tutte le sue sfaccettature: biologica, affettiva, negata, imposta. Il film interroga il senso stesso della genitorialità: è il DNA che fa un genitore, o l’amore, o la verità? La memoria è intesa non come ricordo personale, ma come atto politico di restituzione. L’identità è un campo di battaglia tra ciò che sappiamo di noi e ciò che ci viene rivelato. La verità è ambivalente: può salvare o distruggere, ma non può essere ignorata.


Almodóvar intreccia questi temi con una precisione chirurgica, costruendo un tessuto narrativo in cui ogni filo è un nodo esistenziale. La maternità diventa la chiave per decifrare i codici familiari e nazionali. La memoria si fa corpo, si fa pelle, si fa sangue. L’identità non è un dato acquisito, ma una costruzione continua, un processo in divenire.


Colonna sonora e suono

La musica di Alberto Iglesias è sottile, mai invasiva, ma costantemente presente come un secondo respiro. Le partiture classiche, a tratti minimaliste, accompagnano le tensioni emotive senza guidarle: sono un flusso carsico che emerge nei momenti chiave. Il suono ambientale, dai respiri ai silenzi, è anch’esso parte integrante del racconto. Il suono della terra smossa nella scena finale ha lo stesso peso narrativo di un dialogo. Persino i rumori domestici – il latte che bolle, una porta che si chiude, i passi nel corridoio – assumono valenze simboliche, come se l’universo sonoro stesso volesse testimoniare la complessità e l'intimità del vissuto femminile.


Ogni suono è una voce. Ogni rumore è un ricordo. L’assenza stessa di suono, in certi momenti, è più eloquente di mille parole. Iglesias riesce a costruire un paesaggio emotivo parallelo, dove anche il silenzio è narrazione.


Una questione politica e culturale

Il film è un grido gentile ma ineludibile verso uno Stato che ha preferito il silenzio alla giustizia. Almodóvar compie un atto di resistenza culturale: rende protagoniste le donne, i loro corpi, la loro verità, laddove la storia ufficiale li ha resi comparse. La figura femminile qui è sia testimone che archivio vivente di una memoria collettiva soffocata. La pellicola si interroga non solo sul concetto di verità, ma sulla responsabilità di tramandarla. In questo senso, la maternità va oltre il dato biologico: diventa una forma di militanza, un atto civile.


Anche la scelta di affrontare il tema delle fosse comuni in una narrazione personale rappresenta un’operazione profondamente politica: Almodóvar costringe lo spettatore a mettere in relazione i drammi individuali con quelli collettivi, insinuando che nessuna storia personale è davvero isolata. La storia è sempre, e inesorabilmente, dentro di noi. E il modo in cui scegliamo di raccontarla determina anche la qualità della nostra coscienza civile.


La copertina del film: un abbraccio, una ferita, una promessa

La locandina ufficiale di Madres paralelas mostra Janis e Ana in un abbraccio stretto, viscerale, su uno sfondo rosso acceso. Le due protagoniste sono ritratte in un momento di sospensione emotiva, come se quell’abbraccio contenesse tutto ciò che è stato detto e non detto nel film: il dolore, la colpa, il perdono, la speranza. I loro volti non sono completamente visibili, come a sottolineare che la loro identità si definisce proprio nella relazione, nello scambio, nel contatto.


Il rosso dominante non è solo estetica almodóvariana, ma simbolo vivissimo del sangue, della memoria, della passione e della lotta. È un rosso che richiama tanto l’amore materno quanto la violenza della storia spagnola. Quel gesto d’abbraccio non è solo consolazione: è una presa di coscienza condivisa, un’alleanza silenziosa tra donne che si riconoscono, si perdonano e si scelgono.


Alla luce dell’analisi, questa immagine sintetizza perfettamente il cuore del film: il corpo come luogo di verità, la relazione come riscatto, la memoria come gesto politico. Non è solo una copertina: è una dichiarazione di poetica e d’intenti.


Conclusione: l'utero della memoria

"Madres paralelas" è un’opera totale. È cinema della carne e dello spirito, del dolore e della redenzione. Almodóvar ci racconta che ogni vita è un racconto stratificato, e che scavare nel passato non è una debolezza, ma un atto di forza. Partorire, nel film, non significa solo generare una vita, ma accogliere una verità.


Ogni spettatore è chiamato a riconoscere il proprio trauma rimosso, il proprio desiderio di appartenenza, la propria fossa da disseppellire. In questo, il film è profondamente universale e, insieme, profondamente spagnolo. Una delle opere più potenti del cinema europeo del nuovo millennio. È un’opera che ci chiede di ascoltare, di ricordare, di guarire: individualmente e collettivamente. In un’epoca in cui la memoria viene spesso manipolata o rimossa, "Madres paralelas" ci offre un cinema della verità, dove il gesto più intimo – quello del parto – si fa gesto politico e rivoluzionario.


Ecco dove puoi vedere Madres paralelas (2021):

Disponibile in streaming su Netflix.

Acquistabile o noleggiabile su Apple TV, Google Play Film, Amazon Prime Video e YouTube Film.

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