Father Mother Sister Brother: un Trittico di Solitudini che Accarezzano lo Schermo
- Giada Maria Scarfiello
- 1 set
- Tempo di lettura: 3 min
Un filo comune nei tre episodi
Con Father Mother Sister Brother Jim Jarmusch consegna al pubblico di Venezia un’opera di sorprendente compattezza, un trittico narrativo che, pur diviso in tre episodi, vive di una narrazione comune. Ogni capitolo sembra rispecchiarsi negli altri attraverso dettagli che tornano come ossessioni: il colore rosso che veste i familiari e i personaggi secondari, un orologio Rolex che compare in più scene come un ironico promemoria del tempo che scorre, l’eco di uno “zio Bob” o “Robert” evocato come un fantasma comune e, soprattutto, quel luogo chiamato Desolandia, dove si riconoscono come abitanti i vari personaggi, che si rivela inesorabile, perché alla fine siamo tutti lì, che i genitori ci siano ancora o non ci siano più.
Il vuoto che resta
Il film parla proprio di questo: del vuoto che rimane sempre uguale, della solitudine profonda che si insinua e che Jarmusch racconta con una delicatezza quasi crudele, lasciando che siano gli sguardi e i silenzi a dire più delle parole. Una riflessione chiave che emerge è che, genitori presenti o assenti, bravi o fallibili, restano comunque un amore inevitabile.

A differenza degli amici o dei partner, che scegliamo, la famiglia non si sceglie e proprio per questo ci costringe a preoccuparci: ripariamo le loro cose in casa, ci domandiamo se stiano invecchiando senza di noi o se rimarranno soltanto le loro tracce, temiamo che siano soli, vecchi, fragili. La paura che non ci siano più, o che un giorno non ci saranno, percorre tutto il film come un’ombra che accomuna i personaggi e lo spettatore.
La grammatica dei colori
Persino il titolo diventa un manifesto visivo: “Father” in fucsia, “Mother” in verde, “Sister” e “Brother” in un celeste tendente al grigio. Questi colori trovano la loro incarnazione nei personaggi: le due figlie che vanno a trovare la madre indossano rispettivamente fucsia e verde, come a simboleggiare una spartizione di ruoli, chi ha dovuto farsi padre della sorella minore e chi ha potuto restare figlia.

La madre stessa regala alle due figlie due buste contenenti dei dolci, una verde e una fucsia, prolungando quel gioco cromatico che diventa anche un discorso di eredità emotiva. Allo stesso modo i due fratelli del primo episodio si muovono su un’auto celeste chiaro, vicina al grigio, proprio la tonalità scelta per le parole “sister” e “brother”, come se il legame fraterno trovasse la sua ombra in quella tinta sospesa tra il cielo e la polvere.
I silenzi che fanno ridere di noi stessi
Soprattutto nei primi due episodi, Jarmusch costruisce situazioni quasi interamente mute, dove i dialoghi si interrompono o non arrivano mai, e i personaggi si muovono dentro silenzi imbarazzanti. Sono momenti che, paradossalmente, finiscono per far ridere, perché restituiscono il disagio più intimo, vero e universale, e guardandoli sembra di ridere di se stessi.
Dinamiche psicologiche comuni
Nel secondo episodio, dedicato alla madre, emerge una dinamica psicologica che molti riconosceranno: di fronte a una donna maniaca del controllo, una figlia la asseconda e finisce per assomigliarle, mentre l’altra si ribella apertamente. È il ritratto di due risposte opposte allo stesso nodo familiare, due specchi che rivelano quanto il rapporto con i genitori segni in profondità i nostri comportamenti e le nostre scelte.

La potenza della fotografia
La fotografia è magnifica, fatta di luci fredde e improvvise accensioni cromatiche che sottolineano i momenti di tensione o di rivelazione. Ogni inquadratura è un quadro, ogni movimento di macchina una carezza lenta, e l’atmosfera costruita dal regista restituisce con una precisione chirurgica la solitudine e al tempo stesso la dolcezza delle relazioni familiari. A questo si aggiunge una scenografia che comunica altrettanto: ambienti pieni di oggetti dimenticati, stanze che sembrano parlare da sole, case che raccontano più dei loro abitanti. L’uso degli spazi diventa racconto, memoria, ferita.
Scommetiamo su Father, Mother, Sister, Brother per il Leone d'Oro
Non abbiamo paura a dirlo: questo film ha il Leone d’Oro nel destino. Lo scorso anno avevamo indovinato, e oggi lo ripetiamo con convinzione. Father Mother Sister Brother è un’opera che resterà, un film che scava nel cuore e che lascia sedimentare le sue immagini come cicatrici luminose. Lo consigliamo senza riserve: un viaggio doloroso e bellissimo, da non perdere.
Perché alla fine, con o senza di loro, non smettiamo mai di abitare la famiglia che ci ha abitati per primi.
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