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Fuori: Tre Donne Potenti e Un Film che Non Chiede di Piacere a Tutti

Aggiornamento: 24 lug

C’è un coraggio silenzioso in Fuori, l’ultimo film di Mario Martone, e non è solo quello delle sue protagoniste. È un’opera che si prende rischi: racconta una storia poco accomodante, con una forma volutamente lenta, stratificata e non sempre decifrabile. Presentato in concorso a Cannes 2025, Fuori è ispirato all’esperienza carceraria della scrittrice Goliarda Sapienza, ma più che un racconto, sembra un flusso, una lunga riflessione intima fatta di sguardi, silenzi e legami improvvisi.


Matilda De Angelis: il cuore pulsante del film

In un cast eccezionale, spicca senza dubbio Matilda De Angelis, qui alla sua prova più matura e intensa. Il suo personaggio, Roberta, ha la forza delle anime che si sono spezzate più volte ma non si sono mai arrese. De Angelis riesce a infondere una verità cruda al personaggio: è feroce e tenera, irruente e dolcissima. Ogni gesto, ogni battuta è una dichiarazione d'intenti. Non si limita a interpretare: incarna. La sua Roberta è la vera ancora emotiva del film. Il suo volto, spesso segnato dal caldo, dalla rabbia o dal desiderio di riscatto, resta impresso. Una prova d’attrice che vale da sola il prezzo del biglietto.


Accanto a lei, Elodie regala un’interpretazione incredibilmente controllata e vibrante, profonda e attenta. E Valeria Golino, nei panni di Goliarda, sembra riflettersi nella stessa figura della scrittrice: malinconica, complessa, mai facile da definire. La sua è un’interpretazione affettuosa, trattenuta, rispettosa. E chissà se non sia anche un omaggio a quell’universo femminile esplorato nella sua regia de La pazza gioia, a cui Fuori sembra spiritualmente legato.

Valeria Golino, Matilda De Angelis e Elodie in Fuori

Una regia lenta e fuori tempo (ma va bene così)

Molto si è detto dello stile di Martone: classico, dilatato, lento. Quasi “vecchio”, per alcuni. Eppure, proprio in questo linguaggio un po’ fuori dal tempo, c’è la coerenza di chi non cerca scorciatoie per conquistare il pubblico. Martone non semplifica, non drammatizza, non mette in scena colpi di scena o svolte narrative. Preferisce osservare. Lascia spazio. I dialoghi si perdono nella luce estiva di Roma, il tempo si sfilaccia, il montaggio non corre mai.


Sì, il film è lento. Ma è un lento consapevole, voluto, quasi ostinato. E a chi ha pazienza, regala atmosfere che restano addosso. Forse proprio perché non sono spiegate, ma semplicemente vissute.


Un film che rischia di non piacere

Sia chiaro: Fuori non è un film per tutti. Non ha una trama convenzionale, non offre appigli immediati, non gratifica lo spettatore con risposte semplici. È facile, facilissimo, che annoi. O che irriti per il suo rifiuto di intrattenere.


Ma è anche un film che lavora a lungo raggio. Ti rimane dentro, ti costringe a riflettere dopo, quando sei uscito dalla sala. E in fondo, è questo che fa il buon cinema d’autore: non chiede di piacere, ma di essere ascoltato.


Il desiderio di leggere L’arte della gioia

C’è un altro effetto collaterale di Fuori — ed è positivo: fa venire voglia di leggere Goliarda Sapienza. O di rileggerla. Il film è tratto dal memoir carcerario L’Università di Rebibbia, ma inevitabilmente riporta l’attenzione sul suo capolavoro incompiuto: L’arte della gioia, il romanzo postumo che l’ha fatta riscoprire come una delle voci più originali del Novecento italiano.


Il film, pur non affrontando direttamente quel testo, ne trasmette il senso di ribellione, di sensualità, di libertà radicale. E questa connessione silenziosa è forse una delle scelte più felici del progetto.


Desiderio trattenuto: quando il pudore diventa limite

Uno degli aspetti più delicati di Fuori è il modo in cui accenna — ma non esplora mai fino in fondo — le tensioni omoerotiche tra le protagoniste. Il legame tra Goliarda, Roberta e Barbara è carico di affetto, di gesti sfiorati, di sguardi che dicono più delle parole. Eppure, tutto rimane sottinteso. Pudico.


Da un certo punto di vista, è una scelta coerente: il film parla di prigionia, anche emotiva, e quindi il desiderio stesso è trattenuto. Ma viene da chiedersi se non si potesse osare di più. Se un cinema italiano d’autore, nel 2025, non potesse finalmente rappresentare amori femminili senza timore o autocensura. Non per forza con scene esplicite, ma con più chiarezza. Più coraggio.

Elodie e Matilda De Angelis in Fuori di Mario Martone

Detto questo, Fuori ha già fatto moltissimo: è un film in cui tre donne occupano il centro della scena, senza essere in funzione di nessun uomo, e questo — nel nostro panorama — resta ancora un gesto radicale.


In conclusione

Fuori è un film che divide. Lento, ellittico, a tratti ermetico. Ma anche struggente, onesto, interpretato con una forza rara. Matilda De Angelis è semplicemente magnifica, Elodie convince pienamente, Golino avvolge tutto con delicatezza.


È un film che parla di donne, tra donne, con uno sguardo che — pur non spingendosi dove potrebbe — è finalmente libero da retorica e pietismi. Un film che non cerca di piacere al pubblico: lo sfida. E chi accetta la sfida, può rimanerne contento o deluso.

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