Pensare per Immagini: Deleuze, David Lynch e il Cinema che Sogna Se Stesso
- Giada Maria Scarfiello
- 19 giu
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 24 lug
Il cinema che non vuole essere capito
C'è un certo tipo di cinema che non vuole essere capito. Non perché sia elitario o volutamente oscuro, ma perché la comprensione non è il suo obiettivo. Alcuni film chiedono allo spettatore di rinunciare a un'idea di senso lineare, a una narrazione chiusa, per accettare di pensare per immagini. Non solo guardare, non solo emozionarsi. Ma entrare in uno stato percettivo e sensibile in cui l'immagine stessa diventa pensiero.
In un mondo in cui tutto deve essere "chiaro", "spiegato", "tradotto", è difficile lasciarsi andare a un film che non ti dice dove andare, ma ti costringe a camminare. Gilles Deleuze, uno dei filosofi più affascinanti e complessi del Novecento, ha dedicato due libri al cinema proprio per questo: perché nel cinema ha riconosciuto una forma di pensiero autonoma, non riducibile al linguaggio, alla logica o alla parola. Il cinema, secondo Deleuze, può pensare. E lo fa attraverso il movimento e il tempo, attraverso il montaggio e l'immagine, attraverso il corpo dell'attore e il vuoto tra due inquadrature.
Deleuze: il cinema come filosofia del visibile
Deleuze distingue tra due grandi categorie: l'immagine-movimento e l'immagine-tempo. La prima è tipica del cinema classico, narrativo, causale: una scena porta alla successiva, un'azione genera una reazione. È il cinema di Hollywood, ma anche del neorealismo italiano. Con l'immagine-tempo, invece, si entra nel cinema moderno: il tempo non è più subordinato al movimento, ma si dilata, si sospende, si frammenta. I personaggi non sanno più cosa fare, il tempo si sgancia dall'azione e diventa materia poetica. L'immagine-tempo è rottura, apertura, esitazione. È una frattura che spalanca nuove possibilità di pensiero, non più lineare ma intuitivo, non più logico ma sensibile.
David Lynch e la vertigine dell'identità: Mulholland Drive
Mulholland Drive (2001), considerato uno dei capolavori di David Lynch, è un film enigmatico che si muove tra sogno, allucinazione e realtà. La trama, inizialmente lineare, segue una giovane attrice, Betty, appena arrivata a Los Angeles, che incontra una donna smarrita e priva di memoria. Le due intraprendono un'indagine sulla sua identità. Ma a metà film tutto si frantuma: i ruoli si invertono, le situazioni si ribaltano, le identità si confondono. È un film sull'identità, sul desiderio e sulla disillusione, che lavora per ellissi e contraddizioni.

Lynch costruisce un cinema onirico e disturbante, in cui l'immagine ha una potenza emotiva che supera il racconto. L'esperienza dello spettatore diventa labirintica, immersiva, ipnotica. È la rappresentazione perfetta dell'immagine-tempo di Deleuze: un tempo interno, mentale, frammentato, che non si lascia dominare.
Il tempo come esperienza sensoriale: The Tree of Life
The Tree of Life (2011) di Terrence Malick è un poema visivo e spirituale sulla nascita, la morte, la memoria e la grazia. La trama è minima: Jack, un uomo adulto, ripercorre l'infanzia nella provincia americana degli anni '50, tra un padre autoritario e una madre eterea. Ma Malick intreccia questa narrazione con immagini cosmiche, la creazione dell'universo, flash visivi che evocano l'eternità.
Non c’è una vera storia, ma una serie di frammenti e impressioni. Il tempo non è lineare ma emotivo. Il montaggio segue la logica del ricordo e della percezione. In questo senso, Malick realizza un film che incarna il pensiero deleuziano: non racconta ma pensa. Non spiega, ma mostra. È un cinema che chiede di essere vissuto più che compreso.
Il sogno che si fa reale: Memoria di Weerasethakul
Memoria (2021) del regista tailandese Apichatpong Weerasethakul, è il primo film girato fuori dalla Thailandia, con protagonista Tilda Swinton. Ambientato in Colombia, racconta di una donna che comincia a percepire un suono misterioso che nessun altro sente. Questo rumore la spinge in un viaggio interiore e spirituale che sfida la logica.
Il film è fatto di silenzi, inquadrature fisse, tempi dilatati. Weerasethakul porta lo spettatore in uno stato quasi ipnotico. Qui il pensiero non si articola per cause ed effetti, ma per intuizioni, percezioni, oscillazioni. L'immagine-tempo si fa qui esperienza percettiva pura: il suono non spiegato diventa simbolo del trauma, della memoria, dell’invisibile.
Pensare per immagini: una forma di resistenza
In un'epoca di eccesso di contenuti e povertà di senso, questo tipo di cinema ci invita a disimparare a capire. Ci chiede di accettare l'incertezza, di abbandonare la ricerca del significato univoco, e di entrare in una relazione più intuitiva, più emotiva, più sensibile con le immagini. Forse il cinema che non capiamo è proprio quello di cui abbiamo più bisogno. Perché ci costringe a pensare senza pensieri, a sentire senza parole. A sognare, finalmente, da svegli.
Dove vedere i film analizzati
Mulholland Drive (David Lynch) → MUBI, Prime Video (noleggio)
The Tree of Life (Terrence Malick) → Disney+, Google Play
Memoria (A. Weerasethakul) → in uscita su piattaforme on demand
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