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Tra Sorpassi e Superbia: Brad Pitt sfreccia in F1

Aggiornamento: 17 ore fa

Con F1: The Movie, Hollywood lancia il suo nuovo blockbuster estivo e lo fa a tutto gas: un tripudio di motori, adrenalina e inquadrature spettacolari che sembrano uscite da una campagna pubblicitaria di alta gamma. In regia c’è Joseph Kosinski, lo stesso di Top Gun: Maverick, e il paragone non è affatto casuale. Quello che era il cielo per i jet di Tom Cruise, ora è l’asfalto rovente dei circuiti di Formula 1.


Protagonista assoluto: Brad Pitt, nei panni di Sonny Hayes, ex campione ritirato che torna in pista con un team emergente per affiancare un giovane talento. Un archetipo classico: il veterano dal passato burrascoso, chiamato a fare da mentore e a dimostrare che ha ancora benzina – e orgoglio – nel serbatoio. E qui arriva il punto interessante: F1 non fa nulla per nascondere la sua anima arrogante. Anzi, la cavalca. L’arroganza di Sonny – sicuro, ironico, mai in dubbio – si sovrappone quasi naturalmente a quella di Brad Pitt, ormai interprete di sé stesso, star che non ha bisogno di compiere un vero arco narrativo per dominare la scena. L’effetto è volutamente ambiguo: lo spettatore resta diviso tra ammirazione e irritazione. Ma è parte del gioco.

Brad Pitt nel film F1
Brad Pitt nel film F1

Visivamente il film è un gioiello tecnico: le gare sono state girate su circuiti reali, con camere montate sulle vetture e un realismo mozzafiato. Il suono dei motori, la grana dell’asfalto, il sudore nei box: tutto contribuisce a un’esperienza sensoriale che rende giustizia all’atmosfera della F1 contemporanea. Il grande schermo, meglio se in IMAX, è l’unico habitat naturale per questo film.


Gare incredibili, ma personaggi bidimensionali.

Ciò che manca, semmai, è la profondità. I personaggi secondari sono appena abbozzati, la trama procede senza scossoni e la crescita del protagonista è più suggerita che realmente affrontata. Il film non scava: corre. E in questo, somiglia molto al suo protagonista. Del resto, F1 non ambisce a essere un dramma psicologico, ma uno spettacolo sportivo. E come tale, funziona. L’arroganza diventa un marchio di stile, l’ego è parte dell’estetica, e tutto gira intorno a una sola, grande verità: per vincere, bisogna crederci più di tutti gli altri. Anche troppo.


Il giovane talento che affianca Hayes, interpretato con dignità ma poca profondità, non riesce mai davvero a imporsi. Resta in ombra, funzionale al racconto del veterano. Anche la componente femminile – presente, ma poco incisiva – viene usata per completare il profilo del protagonista più che per sviluppare dinamiche autonome. È un film che, al netto di tutto, ruota intorno a una sola figura. E se questa figura ti affascina, allora il film funziona. Se ti respinge, invece, sarà difficile trovare un aggancio alternativo.


F1 e Brad Pitt sul mondo dello sport: un disegno reale e preciso.

Ma c’è di più. F1 è anche un’operazione culturale sottile: un tentativo di avvicinare il cinema d’azione classico alla nuova ossessione globale per lo sport-spettacolo. La Formula 1, oggi, è una narrazione continua fatta di social media, piloti influencer, estetica hyper-modernista e drammi live davanti a milioni di spettatori. Questo film si inserisce perfettamente in quella scia, sposando l’epica tradizionale del campione hollywoodiano con le dinamiche ipercontemporanee dello show sportivo. E in mezzo, c’è Pitt.


Icona senza tempo, attore che da decenni recita col corpo, col sorriso sghembo, con la consapevolezza piena del proprio status. In F1, il suo Sonny Hayes sembra una variazione su se stesso, un personaggio che non ha bisogno di essere spiegato: è lì, centrale, visivamente in controllo della scena, anche quando non dice una parola. Il suo carisma riempie ogni inquadratura, ma raramente si mette in discussione. Non ci viene mostrato un eroe che cambia, ma un uomo che si impone. E in questo senso, F1 è anche una riflessione involontaria – ma acuta – sulla mitologia della star.

Brad Pitt in una scena di F1: The movie

Un protagonista arrogante e carismatico e una regia iperdinamica.

La narrazione, infatti, non si prende mai davvero la briga di decostruire il suo protagonista. La sua arroganza, come accennato, è tratto dominante, ma mai condannato. Hayes è brusco, sicuro di sé, talvolta cinico, ma il film lo premia: la sua visione delle cose si rivela sempre giusta, la sua esperienza sempre superiore, il suo ritorno in pista sempre legittimo. Il pubblico non è chiamato a giudicare, ma ad accettare. Perché a Hollywood, a volte, l’arroganza funziona. Specie se ha il volto giusto.


Anche sul piano registico, Kosinski dimostra di aver affinato un’estetica dell’eccellenza lucidata: camera car vertiginose, rallenti calibrati, colori saturi e montaggio iperdinamico. Ogni frame è pensato per esaltare il momento, trasformare un sorpasso in un climax, un testacoda in una crisi esistenziale. Ma come accadeva in Top Gun: Maverick, anche qui la potenza visiva rischia di eclissare la sostanza. L’emozione c’è, ma è epidermica, più legata alla velocità che al vissuto emotivo.


Conclusioni.

F1: The Movie è un film lucido, spettacolare e orgogliosamente monodimensionale. Sa di esserlo e non fa nulla per nasconderlo. È costruito intorno a una stella, a un’idea, a un’estetica. Non cerca sfumature, ma linee nette, come i tracciati di un circuito. E nel suo essere così sicuro di sé, così determinato a piacere, finisce col rivelare qualcosa di interessante anche sul nostro tempo: un’epoca in cui lo spettacolo non ha bisogno di giustificazioni, basta che abbia abbastanza stile.


In questo senso, Brad Pitt non interpreta un pilota. Interpreta l’idea stessa di essere Brad Pitt. E tanto basta, per ora, a farci rimanere seduti, a motore acceso.


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