Ari Aster, con Midsommar (2019), non realizza semplicemente un film horror. Realizza un affresco. Una tavola rituale dove pittura, psicologia, antropologia e cinema convergono in un incubo soleggiato. Inverte l’oscurità tradizionale del genere e la sostituisce con una luce bianca, onnipresente, in cui nulla può nascondersi. E in questa luce, esattamente come in un dipinto sacro o in un polittico medievale, ogni elemento ha una funzione simbolica, ogni gesto è un codice.